Re Agilulfo e l’atteggiamento del duca Gisulfo II del Friuli
Il regno di Autari fu troppo breve per poter incidere in maniera significativa sulla fisionomia della regalità longobarda. Assai più significativo fu il regno di Agilulfo e di sua moglie Teodelinda, cui si può collegare anche il breve regno del loro figlio Adaloaldo (590-626).
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Fu del veleno ad uccidere re Autari, assassinio frutto di un’ennesima congiura di palazzo incentivata dalle casse del tesoro dell’esarca. Il suo sostituto venne elevato al trono attraverso il matrimonio con la regina vedova, una pratica quella del passaggio di regalità dalla regina vedova, a cui i longobardi erano usi. Così la regina Teodolinda, figlia del duca dei Bavari, e quindi cattolica, scelse Agilulfo duca di Torino.
Nell'autunno del 590, poco dopo la morte improvvisa di Autari, i duchi longobardi diedero alla regina Teodolinda, rimasta vedova dopo poco più di un anno dalle nozze con Autari, il mandato di scegliere il nuovo re.
Agilulfo, allora duca di Torino, andò a rendere omaggio alla regina e ne baciò la mano in segno di rispetto. Teodolinda gli chiese il motivo per cui lui le baciasse la mano, quando aveva il diritto di baciarle la bocca. In questo modo, lo investì del diritto di essere re e contestualmente suo sposo. Si sposarono nel novembre di quello stesso 590.
Più verosimilmente, l'intera operazione fu orchestrata dallo stesso Agilulfo, che nel maggio dell'anno successivo 591 ottenne l'investitura ufficiale da parte del suo popolo, riunito a Milano (proprio Milano sarà, insieme con la residenza estiva di Monza, la nuova capitale di Agilulfo e Teodolinda, al posto di Pavia).
Se Autari era riuscito a tenere insieme il regno e a scacciare gli invasori, ciò non significa che la situazione in cui si trovava il nuovo re fosse più rosea. Da ogni parte infatti vi erano le defezioni dei duchi che passavano da parte imperiale mentre l’esercito dell’esarca Romano avanzava riconquistando le città poste sul Po.
Alcuni duchi, soprattutto tra quelli che nel 590 avevano disertato il campo longobardo per unirsi a Franchi e Bizantini, non lo accettarono subito come re, ed Agilulfo fu costretto a conquistarsi con le armi la fedeltà.
E’ certo che una volta venuto a mancare Grasulfo, Gisulfo II, suo figlio, divenuto nuovo duca di Cividale, fece giuramento di fedeltà all’impero in seguito alla campagna dell’esarca Romano del 590.
Infatti in una lettera dell’esarca l’utilizzo dell’epiteto di “vir magnificus, dux” per identificare il duca del Friuli, che si sottomise ai Bizantini “cum suis prioribus et integro exercitu”. Questo atteggiamento d’altra parte non durò a lungo e lo strategico ducato del Friuli tornò di nuovo sotto l’autorità di Pavia.
La ribellione di alcuni duchi, tra i quali spiccava Gaidulfo di Bergamo durò fino al 594, quando Agilulfo sconfisse e condannò al patibolo come traditori molti dei duchi ribelli.
Per poter agire liberamente contro i bizantini senza dover temere un’altra guerra su due fronti Agilulfo fece prima pace con i franchi e poi anche con gli Avari.
Particolarmente importante era riprendere il pieno controllo delle città poste sul Po e dei territori nordorientali, dove era ancora molto forte il potere imperiale e dove esistevano ancora numerose fortezze nemiche. Agilulfo lanciò quindi una grande offensiva, rinforzato anche da truppe slave inviategli dal Khagan degli Avari suo alleato, e nel 602-603 riuscì a conquistare Padova e Monselice.
Preso lo slancio delle vittorie il re avanzò fino in Istria che saccheggiò insieme ad Avari e Slavi, cementando quel rapporto di alleanza che avrebbe caratterizzato gli Avari e la corte di Pavia.
L’Istria, le campagne ed i luoghi aperti furono saccheggiati, la gente uccisa o fatta schiava. Comunque l’Istria rimase bizantina.
Uno dei più grandi successi di questa campagna fu però, intorno al 603, la sottomissione al trono longobardo dei due potenti duchi di Trento e Cividale, rispettivamente Gaidoaldo e Gisulfo II.
I domini longobardi dopo le conquiste di Agilulfo
Agilulfo morì a Milano nel 616, dopo 25 anni di regno, primo re longobardo in Italia a morire di morte naturale.
Considerazioni sul regno di Agilulfo
Il primo dato da sottolineare è che Agilulfo agì in un contesto indubbiamente favorevole. La pace con i Franchi e gli Avari e le guerre vittoriose contro i Bizantini, che sfruttarono il fatto che l’impero era allora impegnato duramente in oriente, consentirono ad Agilulfo di sottomettere numerosi duchi che nel periodo precedente erano passati all’impero, e poi di affrontare da una posizione di forza la crisi religiosa della Chiesa dell’Italia del nord, in rotta con Bisanzio a causa della condanna imperiale della dottrina dei Tre Capitoli, una crisi che portò allo scisma tra Aquileia e Grado (606).
Agilulfo si inserì nel dissidio, sostenendo il clero cattolico tricapitolino, evidentemente sperando di poterne ottenere un sostegno politico: il risultato fu la creazione di una nuova sede patriarcale in territorio longobardo, ad Aquileia, che limitò l’autorità della vecchia sede di Grado.
Il potere regio ricercava i fondamenti della sua autorità in una sfera più ampia di quella del comando militare, ricollegandosi all’azione di inquadramento sociale e spirituale operata dal clero. La lettera che il patriarca di Aquileia inviò nel 607 ad Agilulfo, chiedendogli di intervenire per porre fine allo scisma dei Tre Capitoli marca una discontinuità netta rispetto alla lettera inviata, solo sedici anni prima (591), dai vescovi della Venetia all’imperatore Maurizio, piena di rancore e diffidenza verso i barbari (i Longobardi).
I re longobardi, fin da questo periodo, utilizzarono come residenze i palazzi dei funzionari romani, soprattutto a Pavia e a Milano, una città quest’ultima di forte tradizione imperiale romana e che fu a lungo privilegiata da Agilulfo e Teodelinda rispetto alla barbarica Ticinum, che era legata invece ai ricordi di Teodorico e della monarchia ostrogota.
In questi anni inoltre iniziò una politica edilizia da parte dei re: a Monza la regina Teodelinda costruì un palazzo oltre a una basilica dedicata a san Giovanni, dove venne battezzato Adaloaldo, figlio dei due sovrani longobardi.
Lamina di re Agisulfo. Essa mostra un sovrano, re Agilulfo, seduto su un trono con in mano una spada, in una scena di trionfo su nemici di varia natura (quelli a sinistra del re, con la barba, sono stati interpretati come Longobardi ribelli; quelli a destra, senza barba, come Romani sconfitti)
Agisulfo si convertì al cattolicesimo ma fu un evento che rimase limitata ad Agilulfo e alla sua famiglia, senza riverberarsi sull’intero popolo longobardo, la cui fede religiosa vedeva ancora la compresenza di elementi ariani e cattolici.
A conferma di quanto abbiamo appena detto, il re che successe ad Adaloaldo, il giovane figlio di Agilulfo, e cioè Arioaldo (626-636), era ariano.
Marco Franzoni, Al di là dei monti: La frontiera del Friuli dall’arrivo dei Longobardi all’anno 1000, Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari di Venezia
Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria, Volume IX, 1893
Francesco di Manzano. Annali del Friuli. Volume 1. 1858
Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Edizioni Studio Tesi, 1990
Stefano Gasparri, Il potere del re, Studi su istituzioni e società nel medioevo europeo, 2017.
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Autari fu eletto re dei Longobardi dagli stessi duchi nel 584, quando si resero conto che l'assenza di un potere centrale minacciava l'esistenza stessa del popolo longobardo nell'Italia recentemente conquistata. Venne ucciso il 5 settembre 590.
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