Re Agilulfo e l’atteggiamento del duca Gisulfo II del Friuli

Il regno di Autari fu troppo breve per poter incidere in maniera si­gnificativa sulla fisionomia della regalità longobarda. Assai più significa­tivo fu il regno di Agilulfo e di sua moglie Teodelinda, cui si può colle­gare anche il breve regno del loro figlio Adaloaldo (590-626).

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Argomenti trattati

Il regno del re longobardo Agilulfo

   Chi era Agilulfo, in breve?

   Agilulfo sale al trono longobardo

   Il consenso a Agilulfo

   Gisulfo II, nuovo duca del Friuli

   Considerazioni sul regno di Agilulfo

   La lamina di Agilulfo



Chi era Agilulfo, in breve?

Agilulfo fu re dei Longobardi e re d'Italia dal 591 al 616. Era di origine turingia e apparteneva al clan degli Anawas.

Fu eletto re dopo la morte di Autari, suo lontano parente. Durante il suo regno, Agilulfo consolidò il potere dei Longobardi in Italia, sconfiggendo gli Avari e i Bizantini.

Nel 593, Agilulfo sposò la principessa cattolica Teodolinda, che lo aiutò a convertire i Longobardi al cattolicesimo. Questa conversione fu un evento importante nella storia dell'Italia, in quanto contribuì a unire i Longobardi e i Romani.

Il suo regno fu un periodo di pace e prosperità per il paese.

Agilulfo morì a Milano nel 616. Fu succeduto dal figlio Adaloaldo.

Agilulfo sale al trono longobardo

Fu del veleno ad uccidere re Autari, assassinio frutto di un’ennesima congiura di palazzo incentivata dalle casse del tesoro dell’esarca. Il suo sostituto venne elevato al trono attraverso il matrimonio con la regina vedova, una pratica quella del passaggio di regalità dalla regina vedova, a cui i longobardi erano usi. Così la regina Teodolinda, figlia del duca dei Bavari, e quindi cattolica, scelse Agilulfo duca di Torino.

Nell'autunno del 590, poco dopo la morte improvvisa di Autari, i duchi longobardi diedero alla regina Teodolinda, rimasta vedova dopo poco più di un anno dalle nozze con Autari, il mandato di scegliere il nuovo re.

Agilulfo, allora duca di Torino, andò a rendere omaggio alla regina e ne baciò la mano in segno di rispetto. Teodolinda gli chiese il motivo per cui lui le baciasse la mano, quando aveva il diritto di baciarle la bocca. In questo modo, lo investì del diritto di essere re e contestualmente suo sposo. Si sposarono nel novembre di quello stesso 590.

Più verosimilmente, l'intera operazione fu orchestrata dallo stesso Agilulfo, che nel maggio dell'anno successivo 591 ottenne l'investitura ufficiale da parte del suo popolo, riunito a Milano (proprio Milano sarà, insieme con la residenza estiva di Monza, la nuova capitale di Agilulfo e Teodolinda, al posto di Pavia).

Se Autari era riuscito a tenere insieme il regno e a scacciare gli invasori, ciò non significa che la situazione in cui si trovava il nuovo re fosse più rosea. Da ogni parte infatti vi erano le defezioni dei duchi che passavano da parte imperiale mentre l’esercito dell’esarca Romano avanzava riconquistando le città poste sul Po.

Alcuni duchi, soprattutto tra quelli che nel 590 avevano disertato il campo longobardo per unirsi a Franchi e Bizantini, non lo accettarono subito come re, ed Agilulfo fu costretto a conquistarsi con le armi la fedeltà.

Il consenso a Agilulfo

Dal punto di vista dell’imperatore Maurizio le prospettive di recuperare l’Italia sembravano favorevoli nel 590 in quanto sembrava che il regno longobardo fosse molto debole e quindi avere i giorni contati.

L’esarca Romanos e il patrizio Nordulfo con la loro offensiva da Sud avevano eliminato le sacche ribelli nell’Italia peninsulare, e si erano accordati con i duchi longobardi alleati: tra questi, Ariulfo a Spoleto ed Arichis a Benevento

Gli attacchi franchi da Nord-Ovest in Liguria avevano conquistato importanti fortezze alpine e pedemontane.

Nella primavera del 591, benché Paolo Diacono racconti di una conferma plebiscitaria di Agilulfo in Milano, in effetti il re poteva contare solo ed esclusivamente sull’appoggio dei pochi duchi delle province padane centro-occidentali della Neustria.

La situazione del regno si presentava territorialmente più o meno simile a quella dei primissimi tempi di Autari. Tant’è che il trasferimento della corte a Milano, fa intendere che a Pavia Agilulfo non si sentisse molto sicuro; anche perché persa la vicina Piacenza, da questa città incombevano ormai gli Imperiali.

Per non dire che pure la flotta da battaglia dell’esarca risalendo il Po, quasi tutto sotto controllo romaico, poteva facilmente insidiare la vecchia capitale longobarda da vicino

Gisulfo II, nuovo duca del Friuli

E’ certo che una volta venuto a mancare Grasulfo, Gisulfo II, suo figlio, divenuto nuovo duca di Cividale, fece giuramento di fedeltà all’impero in seguito alla campagna dell’esarca Romano del 590.

Infatti in una lettera dell’esarca l’utilizzo dell’epiteto di “vir magnificus, dux” per identificare il duca del Friuli, che si sottomise ai Bizantini “cum suis prioribus et integro exercitu”. Questo atteggiamento d’altra parte non durò a lungo e lo strategico ducato del Friuli tornò di nuovo sotto l’autorità di Pavia.

La ribellione di alcuni duchi, tra i quali spiccava Gaidulfo di Bergamo durò fino al 594, quando Agilulfo sconfisse e condannò al patibolo come traditori molti dei duchi ribelli.

Per poter agire liberamente contro i bizantini senza dover temere un’altra guerra su due fronti Agilulfo fece prima pace con i franchi e poi anche con gli Avari.

Particolarmente importante era riprendere il pieno controllo delle città poste sul Po e dei territori nordorientali, dove era ancora molto forte il potere imperiale e dove esistevano ancora numerose fortezze nemiche. Agilulfo lanciò quindi una grande offensiva, rinforzato anche da truppe slave inviategli dal Khagan degli Avari suo alleato, e nel 602-603 riuscì a conquistare Padova e Monselice.

Preso lo slancio delle vittorie il re avanzò fino in Istria che saccheggiò insieme ad Avari e Slavi, cementando quel rapporto di alleanza che avrebbe caratterizzato gli Avari e la corte di Pavia.

L’Istria, le campagne ed i luoghi aperti furono saccheggiati, la gente uccisa o fatta schiava. Comunque l’Istria rimase bizantina.

Uno dei più grandi successi di questa campagna fu però, intorno al 603, la sottomissione al trono longobardo dei due potenti duchi di Trento e Cividale, rispettivamente Gaidoaldo e Gisulfo II.

I domini longobardi dopo le conquiste di Agilulfo

I domini longobardi dopo le conquiste di Agilulfo

Agilulfo morì a Milano nel 616, dopo 25 anni di regno, primo re longobardo in Italia a morire di morte naturale.

Considerazioni sul regno di Agilulfo

Il primo dato da sottolineare è che Agilulfo agì in un contesto in­dubbiamente favorevole. La pace con i Franchi e gli Avari e le guerre vittoriose contro i Bizantini, che sfruttarono il fatto che l’impero era allora impegnato duramente in oriente, consentirono ad Agilulfo di sottomettere numerosi duchi che nel periodo precedente erano passati all’impero, e poi di affrontare da una posizione di forza la crisi religio­sa della Chiesa dell’Italia del nord, in rotta con Bisanzio a causa della condanna imperiale della dottrina dei Tre Capitoli, una crisi che portò allo scisma tra Aquileia e Grado (606).

Agilulfo si inserì nel dissidio, sostenendo il clero cattolico tricapitolino, evidentemente sperando di poterne ottenere un sostegno politico: il risultato fu la creazione di una nuova sede patriarcale in territorio longobardo, ad Aquileia, che limitò l’autorità della vecchia sede di Grado.

Il potere regio ricercava i fondamenti della sua autorità in una sfera più ampia di quella del comando militare, ricollegandosi all’azione di inquadramento sociale e spirituale operata dal clero. La lettera che il patriarca di Aquileia inviò nel 607 ad Agilulfo, chiedendogli di inter­venire per porre fine allo scisma dei Tre Capitoli marca una discontinuità netta rispetto alla lettera inviata, solo sedici anni prima (591), dai vescovi della Venetia all’imperatore Maurizio, piena di rancore e diffidenza verso i barbari (i Longobardi).

I re longobardi, fin da questo periodo, utilizzarono come residenze i palazzi dei funzionari romani, soprattutto a Pavia e a Mila­no, una città quest’ultima di forte tradizione imperiale romana e che fu a lungo privilegiata da Agilulfo e Teodelinda rispetto alla barbarica Ticinum, che era legata invece ai ricordi di Teodorico e della monarchia ostrogota.

In questi anni inoltre iniziò una politica edilizia da parte dei re: a Monza la regina Teodelinda costruì un palazzo oltre a una basilica dedicata a san Giovanni, dove venne battezzato Adaloaldo, figlio dei due sovrani longobardi.

Agisulfo si convertì al cattolicesimo  ma fu un evento che rimase  limitata ad Agilulfo e alla sua famiglia, senza riverberarsi sull’intero popolo longobardo, la cui fede religiosa vedeva ancora la compresenza di elementi ariani e cattolici.

A conferma di quanto abbiamo appena detto, il re che successe ad Adaloaldo, il giovane figlio di Agilulfo, e cioè Arioaldo (626-636), era ariano.

La lamina di Agilulfo

La lamina di Agilulfo, nota anche come Trionfo di re Agilulfo, è un manufatto in rame lavorato a sbalzo e dorato, di forma trapezoidale che misura 18,9 cm in lunghezza e 6,7 cm in altezza, prodotto da orafi longobardi intorno al VII secolo

La lamina è stata rinvenuta nel 1859 in Toscana e oggi è conservata al Museo Nazionale del Bargello di Firenze.

La lamina raffigura una scena di trionfo con al centro il re Agilulfo, seduto in trono e vestito con una ricca tunica e un mantello. Il re è circondato da due armati e da due Vittorie alate, che portano una corona

Ai lati del re cisono due soldati che indossano elmetto e cimiero, con scudo e lancia; tra le teste di questi tre personaggi campeggia, rovinata, l’iscrizione «AG / IL / U(lf) / REGI».Questa iscrizione identifica il soggetto della scena come il re Agilulfo, che regnò sui Longobardi dal 591 al 615.

Due vittorie alate si stanno librando in direzione del sovrano e recano in mano un corno e un vessillo sul quale si legge «VICTVRIA».

L'interpretazione della scena rappresentata sulla lamina è oggetto di dibattito tra gli studiosi. Alcuni ritengono che la scena rappresenti il trionfo di Agilulfo dopo la sua vittoria sui Bizantini nella battaglia di Capua del 592. Altri ritengono invece che la scena rappresenti il trionfo di Agilulfo dopo la sua vittoria su papa Gregorio I nell'assedio di Roma del 593.

Primo tra tutti, gli studiosi si sono chiesti quale fosse la funzione originale dell’oggetto. Sebbene diverse siano state le ipotesi proposte nel corso di quasi un secolo e mezzo dal ritrovamento della lamina, oggi si tende a dare per certo che essa rappresentasse il fronte di un elmo, quasi sicuramente da parata. 

Lamina di re Agisulfo. Essa mostra un sovrano, re Agilulfo, seduto su un trono con in mano una spa­da, in una scena di trionfo sui nemici

 

 

Marco Franzoni, Al di là dei monti: La frontiera del Friuli dall’arrivo dei Longobardi all’anno 1000, Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari di Venezia

Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria, Volume IX, 1893

Francesco di Manzano. Annali del Friuli. Volume 1. 1858

Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Edizioni Studio Tesi, 1990

Stefano Gasparri, Il potere del re, Studi su istituzioni e società nel medioevo europeo, 2017.

Giorgio Arnosti, IL REGNO DI MILANO (aa.591-616), CENITA FELICITER, L’epopea goto-romaico-longobarda nella Venetia tra VI e VIII sec. d.C.

Finestre sull’arte, La Lamina di Agilulfo

 

 



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