Nell’agosto del 899 ci fu la prima incursione degli Ungari. Attraversarono l’Isonzo e devastarono la Marca Friulana con inaudita ferocia
Nell’agosto del 899 ci fu la prima incursione degli Ungari. Stanziati nella Pannonia attraversarono la valle del Vipacco. Attraversarono l’Isonzo all’altezza del Pons Sontii e devastarono la Marca Friulana con inaudita ferocia.
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Le incursioni degli Ungari
Tra l’899 e il 955 vi furono trentotto migrazioni magiare in Europa occidentale: Italia, Spagna, Baviera, Turingia, Sassonia, Borgogna, Provenza e Catalogna.
Queste riportarono il panico che aveva percorso l’occidente tra V e VI-VIII secolo, con le invasioni degli Unni prima, Avari poi.
I Magiari conquistarono le pianure della Pannonia e divennero importanti nella storia dell’Europa centrale nel corso dei secoli successivi alla migrazione.
Usati come mercenari dalle civiltà occidentali, che fornirono il primo canale di accesso, la prima irruzione vi fu nell’899, quando le milizie di Berengario I, re d’Italia, dopo il collasso dell’Impero Carolingio, subirono una sconfitta sul Brenta, obbligando il re ad accettare, per evitare il peggio, di accogliere come alleati/mercenari gli stessi Ungari.
Da questo momento iniziarono nuove invasioni; nel 901, 919, 922 quando giunsero fino in Puglia, 924 a Pavia; Toscana, Lazio, Campania, Piemonte tra il 927 e il 954, prima di venire sconfitti da Ottone I di Sassonia che ne stroncò la minaccia nel 955 nella battaglia di Lechfeld.
Contestualmente a quelle magiare, anche i Saraceni e i Normanni fecero il loro ingresso sul suolo occidentale
La battaglia contro Berengario
I Magiari non erano mai stati in Italia prima. In base alle testimonianze del tempo (Regino di Prüm, Giovanni Diacono, Liutprando di Cremona) i Magiari inviarono inizialmente delle unità per fare una perlustrazione del territorio.
Verso la fine di ottobre 898 i Magiari inviarono una piccola unità, leggera e dal rapido movimento in ricognizione, che attraversò la Pannonia dirigendosi verso il Nord Italia, per poi raggiungere il Friuli. Si accamparono per tre giorni con le tende vicino al fiume Brenta, inviando esploratori in piccoli gruppi per reperire informazioni sul territorio, la sua ricchezza, il numero e lo spirito combattivo delle truppe nemiche, le vie di attacco e ritirata, i luoghi che potevano essere scelti come luogo di battaglia, dove trovare il maggior bottino, il numero di città, castelli e la forza del sistema di difesa. È certo che durante questa piccola incursione fu scelto il luogo della futura battaglia. Si presume che il gruppo di ricognizione, nell'898 in Italia, avesse un numero attorno ai 100-200 cavalieri.
Nell'899, un esercito, attraversando la Pannonia, si diresse verso l'Italia. Le opinioni degli storici differiscono sulla strada che venne percorsa per raggiungere l’Italia. Alcuni sostengono che avessero percorso la via Gemina altri la via che collegava Emona ad Aquileia.
La via Ungaresca (cioè la via da Emona) potrebbe essere la più accreditata in quanto era già nota agli Ungari. La più antica attestazione dell’esistenza di questa “Ungaresca” si trova in un diploma di Berengario del 21 marzo 888. Quindi era già noto che il percorso era frequentato dalle popolazioni che arrivavano dalla Pannonia.
Nell’agosto del 899 ci fu la prima incursione degli Ungari.
Stanziati nella Pannonia , tra il Tibisco, il Danubio e la Sava attraversarono la valle del Vipacco. Improvvisamente attraversarono l’Isonzo all’altezza del Pons Sonti e devastarono la Marca Friulana con inaudita ferocia. Passarono il Brenta a Cartigliano e si spinsero verso Verona percorrendo la via media (nota come la Stradalta), attraverso il Friuli, Casarsa, Pordenone, Treviso, Padova, Vicenza, Verona. Il Liruti riporta che devastarono i territori di Aquileia, Concordia, Altino e Padova. Il Zanetti riporta che Oderzo venne distrutta in questa occasione. Gli Ungari si inoltrarono verso l’Italia centrale.
Le razzie, sebbene non fossero di grossa portata in termini di movimento di popolazioni, erano caratterizzate da forza (abilità della cavalleria magiara) e sete di depredare i molti tesori dell'Impero mal difesi. La forte depredazione avvenuta nel Nord Est dell'Italia ha portato a nominare una parte della pianura veneto-friulana Vastata Hungarorum.
Di solito i guerrieri nomadi non attaccavano i castelli e le grandi città circondate da mura, perché non erano abili negli assedi e non avevano la tecnologia per costruire e usare macchine d'assedio.
Tragitto degli Ungari. Dalle Valli del Vipaco, percorrendo la via Aquileia-Emona attraversarono il ponte sull’Isonzo (Pons Sonti). All’altezza dell’attuale Villesse imboccarono la Stradalta in direzione Verona, Non si esclude che imboccarono anche la via Gemina. Clicca sull'immagine per ingrandire.
Tragitto degli Ungari. All’altezza dell’attuale Villesse imboccarono la Stradalta in direzione Oderzo per poi proseguire verso Verona. Clicca sull'immagine per ingrandire.
Come menziona Liutprando di Cremona, sentendo parlare dell'apparizione degli Ungari nel suo regno, Berengario I fu molto sorpreso di come questo esercito di un popolo, di cui non aveva mai sentito parlare, apparisse così all'improvviso. Inviò quindi messaggeri e lettere in ogni angolo del suo paese chiedendo a tutti di mandargli le loro truppe per combattere gli ungheresi
Perciò ordinò di riunire insieme tutti gli Italiani, i Toscani, i Volsci, i Camerinani, gli Spoleti, alcuni per iscritto, altri per mezzo di messaggeri, e si formò un esercito tre volte più grande degli Ungari (da Luitprando di Cremona)
Le truppe di Berengario, secondo Giovanni da Venezia, contava 15000 uomini
Contra quos Berengarius rex direxit exercitum 15 milia hominum. (da Giovanni da Venezia)
La prima battaglia fu molto cruenta ed alcune cronache raccontano che i perdenti barbari arretrarono fino all’Adige dove molti di essi annegarono. Successivamente arretrarono sul Brenta. I barbari chiesero di scendere a patti e di poter uscire indisturbati dall’Italia.
La ritirata magiara era anche parte della loro guerra psicologica, che aveva l'obiettivo di dare la fiducia in Berengario e convincerlo, assieme ai suoi uomini e comandanti, di aver già vinto la guerra contro di loro. Per aumentare ciò, mandarono inviati a Berengario, attraverso cui promisero che avrebbero rinunciato a tutti i loro saccheggi, e chiesero solo il loro sicuro ritorno in patria. Berengario e i suoi comandanti, però, rifiutarono, credendo che sarebbe stato facile renderli tutti prigionieri. Sebbene il cronista Liutprando creda che gli ungheresi fossero spaventati, senza speranza e volessero solo scappare, gli storici moderni ritengono che ciò fosse solo un modo per influenzare l'umore di Berengario, cosa che facilitò la sua futura sconfitta.
Berengario inseguì i Magiari fino al Brenta.
Dopo questo lungo inseguimento i due eserciti arrivarono sul fiume Brenta.
Il fiume separava in quel momento i due eserciti. Gli italici, pesantemente corazzati, non potevano passare il fiume così facilmente, quindi rimasero dall'altra parte, ed entrambi gli eserciti radunarono le loro linee di battaglia su entrambi i lati del fiume.
Quindi gli ungheresi mandarono di nuovo degli ambasciatori dalla parte avversaria, questa volta con proposte ancora più allettanti per gli Italici: in cambio del loro sicuro ritorno a casa, promisero di dare loro tutto, prigionieri, equipaggiamento, armi, cavalli, tenendone solo uno per ognuno di loro per il loro ritorno a casa. Per dimostrare quanto erano seri riguardo a questa proposta, promisero che non sarebbero tornati mai più in Italia e, a garanzia di ciò, avrebbero inviato i propri figli in ostaggio a Berengario. Con queste promesse riuscirono a convincere totalmente il re che il loro destino dipendeva solo dalla sua buona volontà. Quindi il re rispose duramente, minacciandoli, probabilmente desiderando la loro resa totale.
Berengario pensò che i Magiari fossero troppo deboli e stanchi per combattere, quindi che fossero alla sua mercé. Ma dall'altra parte del fiume Brenta c'era probabilmente non solo il gruppo dell'esercito magiaro stanco e inseguito, ma anche altre truppe ungheresi che all'inizio della campagna erano state mandate in altre direzioni per saccheggiare, e che erano tornati per battaglia, e anche coloro che erano rimasti nel loro accampamento permanente, collocati proprio in quel luogo dall'inizio della campagna un anno prima nella loro incursione da ricognizione.
Il Tumolo degli Ungari a Cartigliano per ricordare la sanguinosa battaglia del 24 settembre 899
Il 24 settembre ci fu la battaglia sul guado tra Nove e Cartigliano (per secoli il luogo conservò il nome di “vadus Ungherorum” e che oggi viene indicata come il “Tumulo degli Ungheri”).
In “storia documentata di Venezia” si racconta che:
Accesi d’ indicibile furore, ripassarono il fiume e fatto impeto improvviso negli alloggiamenti delle genti italiane, già tra loro discordi e gelose, ne fecero orribile scempio, e « le forze di mezza Italia furono vinte prima che viste, prima rotte che tocche, e prima annullate che tentate da uno esercito molto minore, per lo aver caro il male del vicino e non volere tra loro ajutarsi »
Nel momento in cui gli italici non si aspettavano un attacco, gli ungari inviarono tre unità ad attraversare il fiume in alcuni luoghi remoti e per posizionarsi in diversi punti strategici attorno al campo italico. Quando queste unità presero il loro posto, il nucleo principale dell'esercito magiaro attraversò il fiume, in una zona lontana dalla zona sorvegliata dagli italici, e li attaccò.
Il numero delle perdite italiche fu enorme mentre le perdite ungare furono basse.
Il re Berengario riuscì a fuggire a Pavia, cambiando il suo vestito con l'abbigliamento di uno dei suoi soldati.
Senza un esercito italico che si opponesse a loro, gli ungheresi decisero di trascorrere il mite inverno in Italia, continuando ad attaccare monasteri, castelli e città.
Si impadronirono delle campagne dei territori di Padova, Vicenza e di Trevigi. Successivamente avanzarono verso l’Adriatico saccheggiando Chioggia, Capo d’Arzere e Malamocco.
Nei primi mesi del 900, gli Ungari devastarono le terre vicino alla laguna veneta e quindi cercarono di espugnare Venezia. Si racconta che i veneziani, impauriti e memori della crudeltà di Attila, si organizzarono in una difesa e cercarono di allestire un’armata che si incamminò per incontrare il nemico sperando di tornare vittoriosi. Incontrarono i barbari alla foce del Bacchiglione (vicino Chioggia). La troce battaglia durò parecchi giorni e terminò con la vittoria di Venezia.
Le cronache raccontano che Berengario scrisse al doge Pietro Tribuno per congratularsi del trionfo e chiamandolo : conservatore della pubblica libertà ed espulsore dei Barbari, e l’imperatore Leone gli mandò il titolo di protospatario.
Prima che gli ungheresi lasciassero l'Italia, nella primavera del 900, conclusero la pace con Berengario, che li diede in cambio della loro partenza del denaro per la pace.
Francesco di Manzano. Annali del Friuli. Volume 1. 1858
Giuseppe Mainati, Croniche ossia memorie storiche antiche di Trieste, Volume 1, 1819
Giuseppe Paludo, Gli Ungari e la via ongaresca, Progetto Integrato Cultura del Medio Friuli
Giovanni Roman, L’antica via Ongaresca, Atti e Memorie dell'Ateneo di Treviso, n. 32, 2014-15
Luigi Schiaparelli, I diplomi di Berengario I, Fonti per la storia d'Italia, n. 35. Diplomi, secoli IX e X., 1903
Chronicon Venetum et Gradense di Giovanni da Venezia
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