Nella totale assenza di una cultura ecologica, l’intervento antropico è considerato solo sotto l’aspetto della convenienza economica.
Le prime società storiche che hanno sviluppato l’agricoltura e l’allevamento del bestiame hanno prodotto delle trasformazioni. Da quel momento ha inizio il fenomeno di reciproco “asservimento”. Con la rivoluzione industriale si inizia a turbare gli ecosistemi.
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Gli uomini primitivi facevano una vita di continuo spostamento (nomadismo), vivevano di caccia e dei frutti della natura. La mobilità era in funzione delle esigenze alimentari per la sopravvivenza e per la conservazione e lo sviluppo della specie.
Queste “società arcaiche” di uomini cacciatori e raccoglitori, poco popolose, disperse e mobili, erano parte integrante degli ecosistemi come le altre specie di animali.
Quando, successivamente, gli uomini sono diventati agricoltori ed allevatori hanno iniziato a modificare l’ecosistema e talvolta anche a degradarlo, per esempio mediante l’utilizzo del fuoco per facilitare le operazioni di disboscamento e creare spazio per le colture stanziali.
Nell’ecosistema, tutto continua a funzionare armoniosamente, perché le interazioni non alterano i cicli dell’anidride carbonica (CO2), dell’acqua (H2O) e degli altri elementi indispensabili alla vita.
Con il passare dei secoli sono cresciuti i livelli culturali e sociali della civiltà umana. L’evoluzione delle società da pastorali ad agricole e poi urbane ed industriali hanno raggruppato popolazioni via via sempre più numerose che sono passate da poche migliaia a milioni di individui e si sono dotate di organizzazioni sociali meglio strutturate e sempre più complesse.
Le prime società storiche che hanno sviluppato l’agricoltura e l’allevamento del bestiame hanno prodotto delle trasformazioni non solo nel loro modo di vivere e di organizzare, ma anche nel mondo naturale in cui vivevano.
La scelta delle specie vegetali da coltivare e delle specie animali da allevare hanno introdotto in un sistema, fino a quel punto naturale, un nuovo modo di selezionare. La simbiosi fra l’uomo e le specie scelte consiste nel fatto che quest’ultime ricevono protezione, cura e nutrimento, a loro volta esse forniscono all’uomo le risorse necessarie per la propria vita e per lo sviluppo della società.
Ha inizio così un fenomeno di reciproco “asservimento” della natura da parte dell’uomo e dell’uomo da parte della natura.
Quando l’uomo interviene nei processi di riproduzione e di sviluppo dei vegetali, attraverso la selezione delle sementi, gli incroci, ecc. aumenta la produttività dell’agricoltura ma attua un processo di asservimento della natura. Lo stesso succede allevando gli animali oppure modificando il territorio costruendo strade, canali, ecc.
In ogni caso gli interventi antropici che si sono verificati fino all’epoca della rivoluzione industriale sono stati tali da non turbare gli ecosistemi.
In altre parole, fino a quel momento, l’uomo ha utilizzato le risorse della natura ma non ha compromesso le funzioni organizzative e rigenerative di essa. L’uomo ha vissuto in modo “quasi” sostenibile, anche se attività di tipo venatorio già in epoche storiche hanno comportato l’estinzione di varie specie dai loro territori naturali.
Nella seconda metà dell’800 ha inizio la rivoluzione industriale.
Con lo sviluppo della tecnologia cambia il rapporto uomo/natura, la natura è a completo servizio dell’uomo.
L’estensione e l’intensificazione dell’agricoltura e dell’allevamento, rese possibili dallo sviluppo della tecnologia, cominciano a far scomparire molte specie selvatiche per privilegiare varietà di specie domestiche a maggior rendimento.
Molti spazi a foresta spontanea vengono conquistati dall’agricoltura che si estende in forma intensiva anche sugli antichi latifondi e sulle terre incolte o paludose, con operazioni di bonifica di queste ultime che hanno comportato la quasi totale sparizione delle aree umide, con pesanti influenze negative, per esempio, sull’avifauna migratoria.
Nella totale assenza di una cultura ecologica, l’intervento antropico è considerato isolatamente solo sotto l’aspetto della convenienza economica, senza la consapevolezza delle possibili perturbazioni eco-organizzative che potrà provocare. Cominciano i massicci disboscamenti per ricavare suoli fertili per l’agricoltura, ma non ci si accorge di innescare un meccanismo di dissesto idrogeologico che oggi appare drammaticamente evidente.
In un libro del 1859, “Gemona e il suo Distretto”, si mette in evidenza come l’operato dell’uomo provochi dissesto idrogeologico. Già all’inizio della rivoluzione industriale, le autorità del distretto si erano rese conto di quanto fosse importante un’agricoltura integrata con il territorio. Infatti si denunciano i frequenti allagamenti con gravi danni alle case ed ai campi a causa di uno sfruttamento del territorio non adeguato.
“E’ provato d’altronde che di molto non si è aumentata ma forse diminuita la massa delle pioggie; conviene quindi ricorrere ad un fatto che valga a darci spiegazione dei frequentissimi danni che vengono in oggi prodotti dalle acque, e non può farsi a meno di riconoscere come la distruzione delle selve e dei boschi sui monti ne sia la cagione principale. Infatti allorchè i monti sono coperti di boschi le pioggie stillano dai rami e dalle foglie sul terreno e lentamente scolano nella valle: atterrato il bosco esse precipitano tutto ad un tratto cadendo con violenza ed a slascio nei valloni, e trascinano i sassi e le roccie facendo innalzare il letto dei fiumi e dei torrenti che quindi le campagne. Né alla sapienza dei veneti reggitori era sfuggita la necessità di provvedere chè fossero conservati i boschi sui monti e lungo le sponde dei fiumi, e molte leggi utilissime furono emanate intorno a questo argomento. Nell’anno 1559 venne ordinato che si piantassero dei pioppi dietro le roste del Tagliamento ed era dato un premio a chi ne piantasse di più. “
Nonostante le disposizioni veneziane, nel corso dei secoli si ebbe un disboscamento dei monti aumentando il rischio sulle povere popolazioni della zona.
“Compreso dall’importanza di provvedere a tanto pericolo, il comune di Gemona fino dall’anno 1850 utilizzò il monte Gemina concedendolo in affitto con l’obbligo di tenerlo a bosco di roveri e carpini, alberi adatti alla qualità del terreno…..”
L’autore non fu in grado di stabilire gli effetti di questa politica a lungo termine ma sicuramente ci fu un esempio di volontà di integrare la vita dell’uomo con la natura. Ci si rese conto della necessità di difendere il territorio soprattutto quando l’economia era basata sull’agricoltura ma, con l’industrializzazione, le politiche cambiarono dimenticandosi della sostenibilità delle attività umane e dimenticandosi ciò che gli avi avevano osservato: utilizzo del territorio in modo sostenibile è una forma di protezione della propria popolazione.
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