La vita quotidiana nel periodo dei Longobardi. Il diritto longobardo della donna

 

La vita quotidiana nel periodo dei Longobardi. Il diritto longobardo della donna

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Il diritto longobardo e la donna

Pur essendo subalterna all'uomo, la donna longobarda è tutelata dalla legge. Numerosi sono infatti gli articoli dell'Editto di Rotari (promulgato il 22 novembre 643 a Pavia) che salvaguardano la sua dignità di sposa e di madre.

Ne ricordiamo qualcuno.

De wecworin (art. 26), «Se qualcuno per la strada avrà contrastato il passo ad una donna o ad una fanciulla libera, o l'avrà oltraggiata, paghi un'ammenda di 900 soldi, per metà al re e per metà alla vittima dell'ingiuria ovvero al detentore del suo mundio».

«Del bambino ucciso nell'utero materno (art. 75): se qualcuno avrà ucciso involontariamente un bambino nell'utero materno della madre, nel caso che la madre sia una donna libera e scampi alla morte, il risarcimento venga valutato in proporzione alla nobiltà della vittima e il risarcimento del bambino sia pari alla metà del valore della madre. Nel caso che essa muoia, il risarcimento dipenderà dalla nobiltà della vittima... Si ponga quindi fine allo stato di faida, visto che il colpevole agì involontariamente».

Una lunga serie di articoli è dedicata poi ai figli, legittimi e naturali, ed al loro diritto, o meno, ad avere una quota dell'eredità patema.

Disposizioni di legge riguardano ancora il fidanzamento, le nozze, la vedovanza della donna, la restituzione del fàrderfìo, la dote che la sposa porta al marito, la possibilità, sempre da parte della sposa, di tenersi il mongergrab (dono del mattino) che il marito le dava dopo la prima notte di nozze come segno della constatata verginità.

Difesa è ancora la donna dalla violenza, dallo stupro, dal rapimento, reati per i quali si comminava un'ammenda all'aggressore.

Per l'adulterio le cose si mettevano piuttosto male per gli amanti: «Se qualcuno avrà sorpreso un uomo libero o un servo nell'atto di fornicare con la propria moglie, possa ucciderli entrambi; e se li avrà uccisi nessuno ne chieda conto» (art. 212).

Regolati sono ancora i matrimoni tra aldi, servi e liberi.

Nelle leggi emanate da re Liutprando (712-744), che si aggiungono all'editto rotariano, troviamo inserite disposizioni, sino allora completamente ignorate dal diritto germanico, come la successione femminile. In ogni caso la donna deve sottostare, per essere protetta, all'uomo.

«A nessuna donna libera, vivente nel nostro regno sotto l'ordinamento della legge dei Longobardi, sia lecito vivere nell'attuazione della sua volontà, cioè selpmundia, ma debba restare sotto la potestà di un uomo o del re; nè possa vendere o donare alcunché dei suoi beni mobili o immobili senza la volontà di colui nel cui mundio si trova» (art. 204).

 

Arte e architettura sotto i Longobardi

La rozzezza dei Longobardi non permetteva la diffusione delle arti. Le aspre e continue guerre non permettevano di conservare eventuali opere.

In questo periodo molte opere vennero distrutte a causa degli incendi. Però i Longobardi avviarono lo studio dell’architettura. Spesse volte i re longobardi facevano costruire edifici, monasteri, chiese e palazzi.

Tra il VII e VIII secolo l'architettura longobarda evolse in una direzione originale: si registrò una ripresa dell'interesse verso l'arte classica, come testimoniato da numerosi riferimenti a espressioni artistiche dell'area mediterranea. L'intrecciarsi di vari modelli, a volte anche in modo contraddittorio, e lo sviluppo di nuove tecniche costruttive culminarono negli edifici eretti durante il regno di Liutprando (712-744), in particolare a Cividale del Friuli. I Longobardi migliorarono con il tempo i rapporti con i loro sudditi romanici e mostrarono una spinta verso una rinascita culturale.

Le leggi longobarde parlano dei Maestri Comacini. I Maestri Comacini erano delle maestranze edili scelte costituitesi nell’area di Como all’epoca dei re longobardi nel VII/VIII secolo. Altra interpretazione prende origine dal termine comacino da “cum machinis”, dalle grandi impalcature che quei maestri usavano per i loro lavori. Il primo documento che cita il nome “Magister Comacinus” è stato l’Editto di Rotari del 643.

Anche l’editto di Liutprando del 713 riporta in appendice un “Memoratorium de mercedibus commacinorum”, un vero e proprio tariffario tecnico. Questi Maestri furono muratori, scultori, decoratori, architetti.

Lavorarono a strade ed edifici pubblici ma eressero soprattutto chiese in stile
romanico-lombardo.

I Maestri Comacini divennero così le maestranze ufficiali del regno longobardo.
Il termine “Magistri Comacini” scompare dall’uso corrente con la caduta del regno longobardo. Questi Maestri furono muratori, scultori, decoratori, architetti.
Lavorarono a strade ed edifici pubblici ma eressero soprattutto chies e in stile
romanico-lombardo caratterizzate queste da un’arte semplice ed essenziale evocante però nell’osservatore una suggestiva atmosfera mistica.

I Longobardi fabbricavano generalmente in legno. La pittura  e il mosaico venne conservato grazie ai pontefici ed ai vescovi. Queste arti venivano utilizzate come ornamento delle chiese.

Le case erano piccole con il numero di stanze necessarie a contenere le persone che vi abitavano. Le case avevano il tetto di legno oppure di paglia. Le città erano circondate da solide mura e torri con varie porte  e ogni tipo di fortificazione.

Il commercio

Dall’Oriente arrivavano le spezie, tessuti e bambagia. L’Italia inviava nei paesi settentrionali vino, olio e manufatti. La merce italiana raggiungeva anche Parigi ove si negoziava con i sassoni, provenzali, spagnoli. Nell’VIII secolo i veneziani commerciavano anche schiavi.

L’agricoltura

L’Italia era ricca di boschi e paludi, particolarmente vicino ai fiumi. Ove si formavano dei rilievi, i villani costruivano delle capanne coperte di canne palustri o di paglia. In questi luoghi le persone pescavano e coltivavano i fazzoletti di terra che risultavano asciutti.

In ogni caso c’erano zone dove il terreno era fertile. In queste zone veniva coltivato il grano oppure viti e ulivi.

Corti e cortine

Col nome di corti si indicava un aggregato di poderi che formava un’intera villa con una chiesa. Molto spesso si trovava anche un castello.

Linguaggio

Si usava il latino. Il popolo parlava  un latino alterato (volgare italico) perché aveva una pronuncia diversa e soprattutto perché viveva non a contatto con la gente colta. Sicuramente i Longobardi utilizzavano il volgare italico per pubblicare le proprie leggi.

Non esisteva un unico volgare italico ma molti da cui ebbero origine gli attuali dialetti.

 

 

 

Francesco di Manzano. Annali del Friuli. Volume 1. 1858

Mauro Brozzi, “Donna Lombarda”, Ce fastu?, a.62(1986), 1

 

 

 



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