14 aprile 754. La Promissio Carisiaca fu un atto sottoscritto dal re dei Franchi Pipino il Breve.
La Promissio Carisiaca (nota anche come patto di Quierzy) fu un atto sottoscritto dal re dei Franchi Pipino il Breve il 14 aprile 754. Il documento contiene la promessa di donazione alla Sede Apostolica di una serie di territori già appartenuti all'impero bizantino e ad esso sottratti dai Longobardi.
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Introduzione
Durante il secolo VIII, il rapporto fra Carolingi e papato divenne più intimo; contemporaneamente il rapporto fra papato e Bisanzio si sciolse. L’avvicinamento è da collegarsi all’espansione longobarda, che rappresentò un grande problema per Roma e per il Pontefice; in conseguenza di ciò i Papi chiesero aiuto ai Carolingi. All’inizio i Franchi non assunsero una posizione a favore del papato. Quando Gregorio III pregò Carlo Martello per avere aiuto offrendogli dominazione protettrice su Roma (739/749), Carlo preferì un’alleanza con Liutprando. Forse temette di irritare l’imperatore bizantino che a quei tempi era responsabile di Roma. Comunque, l’offerta di Gregorio III mostrò come il papato ritenesse Carlo Martello più influente del re, Teodorico IV.
Dopo la morte di Carlo Martello, i suoi figli, Carlomanno e Pipino, rinforzarono la collaborazione fra la Chiesa franca e la Chiesa romana.
La relazione ecclesiastica divenne un aspetto più importante a livello di fiducia su entrambi i lati. Sembra che Pipino avesse riconosciuto, contrariamente a suo padre, la possibilità di migliorare la propria posizione aiutando il papato.
Pipino fu eletto re nel 751.
Tre anni dopo, il Papa gli diede il titolo di patrizio e Pipino il Breve, in cambio, promise gran parte dell’Italia centrale in caso di vittoria contro i longobardi. Questa promessa fu rinnovata nel 774 da Carlo Magno, incoronato a Natale dell’800 imperatore occidentale da Papa Leone III, che rinforzò il legame fra Roma e i Carolingi in modo forte.
Nel 751 i longobardi conquistarono Ravenna.
Nel 751 passò sotto il dominio longobardo l'Esarcato d'Italia, di cui faceva parte anche il Ducato di Roma. Il re longobardo Astolfo non attaccò direttamente Roma, ma continuò a soggiornare nella sua capitale, Pavia.
Due anni dopo l'imperatore bizantino Costantino V decise di chiedere ad Astolfo la restituzione dei territori sottratti. Siccome l'ultimo esarca Eutichio era caduto in battaglia, l'unica personalità in grado di eseguire la missione era il pontefice romano. Sedeva sul trono di Pietro papa Stefano II (752-757). Il pontefice fu raggiunto nell'Urbe da un alto dignitario della corte imperiale, Giovanni, partito appositamente da Costantinopoli. Nell'ottobre 753 i due partirono da Roma e si recarono da Astolfo a Pavia. L'imperatore aveva ufficialmente incaricato il papa di trattare con il re longobardo la restituzione delle città occupate. La missione non ebbe successo.
Fallite le trattative, il papa Stefano II proseguì il suo viaggio e si recò in Francia, alla corte del re Pipino il Breve. Lo raggiunse il 6 gennaio 754 a Ponthion (90 km a sud di Reims), dove Pipino aveva una delle sue residenze.
Il papa spiegò al re franco che, con la scomparsa della presenza bizantina in Italia, la città di Roma si sarebbe trovata in grave pericolo. Era dunque a beneficio di San Pietro apostolo che il re dei Franchi sarebbe dovuto intervenire. Non si trattava quindi di difendere una città, sebbene una città importante come Roma, ma la Sancta Dei ecclesia reipublicæ Romanorum, cioè il "bene comune" costituito dalla santa Chiesa di Dio. Con questa nuova formula il pontefice intese aggirare la mancanza di un mandato diretto dell'imperatore a trattare con il re dei Franchi.
L'accordo consisteva infatti non nel restituire all'imperatore le terre recuperate, bensì a donarle a San Pietro in persona. Pipino avrebbe ceduto i territori a San Pietro apostolo e, per lui, al pontefice regnante e ai suoi successori in perpetuo.
La donazione promessa aveva come oggetto Ravenna e tutte le altre città dell'Esarcato e della Pentapoli che re Astolfo aveva preso a partire dalla sua ascesa al trono, nel luglio 749.
L'assemblea dei nobili ratifica la Promissio.
Alcuni mesi dopo, il 14 aprile, nella villa reale di Carisium (Quierzy, 90 km a Nord di Reims), l'assemblea dei nobili ratificò la Promissio.
Stefano II e Pipino si incontrarono a Quierzy nella Pasqua dell’anno 754. In questa occasione, i Franchi non solo concordarono aiuto militare contro i longobardi, ma promisero che dopo la vittoria tutte le regioni dell’Italia bizantina dominate dai longobardi sarebbero state poste sotto dominazione papale.
Dopo la sconfitta del re longobardo Astolfo, Pipino mantenne realmente la promessa cedendo al Papa Ravenna e altri territori sottratti ai Bizantini. Nei decenni precedenti i Papi avevano più volte rivendicato la sovranità su questo territorio[6]. Nella stessa occasione si stabilì tra Stefano II e Pipino un patto d’amicizia reciproca. La Donazione di Pipino fu ricambiata dal Pontefice con il titolo di “Patrizio dei romani”, vale a dire il re fu eletto protettore della Chiesa Romana. Si sottolineava così che da quel momento il re franco avrebbe risposto della protezione di Roma - non più il Regno d’Oriente.
La dignità di patrizio non era limitata solo a Pipino, ma si allargava a tutta la sua famiglia: Stefano aveva simbolicamente ripetuto l’unzione con olio santo anche su Carlo e Carlomanno e dato la benedizione alla regina Bertrada. Nelle fonti è possibile leggere che Stefano aveva assicurato ai Franchi che non avrebbe eletto un re che non discendesse da loro.
Questo accordo del 754 ebbe due vantaggi per il papato: la speranza di ricevere territori in Italia centrale e la creazione di un forte legane tra Roma e i Carolingi.
In ogni caso il patto di amicizia significò un importante passo nella collaborazione fra i due poteri in Italia e contemporaneamente una riduzione della dipendenza dal potere bizantino. Per questi motivi fu di notevole importanza che Carlo rinnovasse questo patto nella Pasqua del 774, nel momento in cui fu chiaro che i Franchi avrebbero vinto contro i Longobardi guidati da Desiderio.
Il 5 giugno 774 Carlo Magno, figlio e successore di Pipino, prese Pavia, sancendo la fine del regno longobardo. Dal momento che la promissio del suo predecessore non era stata resa esecutiva, egli si recò a Roma dove fece redigere una seconda promessa di donazione, che confermava quella precedente. Spettavano quindi al Patrimonium Sancti Petri tutte le città della pianura cispadana da Parma a Rimini con l'aggiunta di Mantova. A sud la linea di confine era rappresentata dalla dorsale dell'Appennino centrale e meridionale, includendo i ducati di Spoleto e di Benevento.
La donazione fu perfezionata da Carlo Magno secondo una tipica procedura romano-germanica: il 6 aprile 774 i convenuti si riunirono davanti alla tomba di Pietro apostolo. Qui fu data lettura dell'atto; dopo la lettura il re franco appoggiò il documento sul sepolcro e, su di esso, pose le chiavi della città (claves portarum civitatum). Il gesto stava a significare l'avvenuto trapasso della proprietà dei territori testé menzionati alla Sede di San Pietro. Il 7 luglio successivo il re dei Franchi entrò in Pavia e il 16 luglio si fregiò del triplice titolo di Rex Francorum et Langobardorum atque Patricius Romanorum.
Si può comunque dire che la donazione non fu mai realizzata completamente. Per questo la relazione fra Adriano I e Carlo si destabilizzò negli anni seguenti quando il Papa notificò che la promessa di restituire i territori papali non era stata adempiuta. Le offerte generose contenevano il pericolo di deludere la fiducia papale.
Sandra Lachmann, La relazione fra papato e Carlo Magno considerando il Constitutum Constantini
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