La nomina di Enrico di Biburg a Patriarca di Aquileia da parte di Enrico IV

Enrico di Biburg: Patriarca del Principato Patriarcale di Aquileia

(immagine creata con AI)

Nomina di Enrico di Biburg a Patriarca di Aquileia da parte di Enrico IV. La battaglia di Flarchheim. La scomunica di Gregorio VII. Elezioni canoniche dopo la morte di Sigeardo e conflitto con il papato. Il Vescovato di Trieste passa sotto i Patriarchi d’Aquileia, le proteste dei triestini

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Argomenti trattati

Enrico di Biburg: Patriarca e Principe del Principato Patriarcale di Aquileia

   In breve. Il periodo storico di Enrico IV e il rapporto con il patriarca di Aquileia

   La linea del tempo

   Dopo la morte di Sigeardo

   Chi era Enrico di Biburg?

   Il patriarca scomunicato da Gregorio VII.

   Il Vescovato di Trieste ai Patriarchi d’Aquileia

   La protesta di Trieste



In breve. Il periodo storico di Enrico IV e il rapporto con il patriarca di Aquileia

Enrico IV, Imperatore del Sacro Romano Impero, affrontò la lotta per le investiture. Fu scomunicato e poi perdonato a Canossa nel 1077. La lotta per le investiture si riferiva al conflitto tra la Chiesa e l’Impero sul diritto di investitura dei vescovi

La scomunica di Enrico IV da parte di Papa Gregorio VII lo portò al castello di Canossa, dove, ospitato da Matilde di Canossa, cercò di ottenere la revoca della scomunica.

In questo periodo storico, Enrico IV riuscì a convincere Sigeardo, il Patriarca di Aquileia, a ritornare dalla sua parte, dopo che inizialmente aveva sostenuto il Papa. Per la sua lealtà, Enrico IV elevò Sigeardo a principe, un gesto che segnò la fondazione della Patria del Friuli, un principato ecclesiastico sotto l’egida del Sacro Romano Impero.

Dopo la morte di Enrico IV, il Friuli e il Patriarcato di Aquileia rimasero entità politico-religiose autonome fino al 1420. Successivamente la regione iniziò a far parte della Repubblica di Venezia, segnando la fine dell’influenza diretta del Sacro Romano Impero.

 

La linea del tempo

linea del tempo

(azzurro) Imperatori del Sacro Romano Impero, (giallo) papa in carica, (rosso) margravio di Verona, (arancione) patriarchi di Aquileia, (viola) dogi di Venezia, (verde) patriarchi di Grado. Clicca sull’immagine per ingrandire

Dopo la morte di Sigeardo

In ubbidienza ai decreti di Gregorio VII, ad Aquileia si procedette all’elezione canonica del nuovo patriarca e ne fu data notizia al papa per averne « assenso e conferma ». Gregorio VII inviò legati con una lettera al clero ed al popolo ed un’altra ai vescovi comprovinciali con l’incarico di esaminare se l’elezione fosse stata legittima. Queste lettere furono spedite il 17 settembre 1077.

Enrico IV da parte sua, l’ 8 settembre nominò il nuovo patriarca nella persona di Enrico, canonico di Augusta e suo cappellano, Enrico di Biburgo.

Enrico apparteneva ad una nobile famiglia bavarese imparentata coi conti di Scheyern, e suo fratello Ellenardo era vescovo di Pola

Enrico di Biburg, nominato Patriarca e Principe del Principato Patriarcale di Aquileia

Il nuovo patriarca, Enrico di Biburgo, era un canonico di Augusta e suo cappellano.

Enrico apparteneva ad una nobile famiglia bavarese imparentata coi conti di Scheyern, e suo fratello Ellenardo era vescovo di Pola.

Fu nominato patriarca l'8 settembre 1077 da Enrico IV. Il re ignorò la decisione del clero e del popolo di Aquileia, che il 12 agosto 1077, dopo la morte del patriarca Sigeardo di Beilstein, avevano eletto il loro patriarca, il cui nome non è registrato dalle fonti.

L'insediamento di Enrico avvenne nel momento più critico della lotta per le investiture, dopo l'episodio di Canossa (gennaio 1077) e l'elezione dell'antiré Rodolfo di Svevia da parte dell'opposizione tedesca a Enrico IV (marzo 1077); in questa situazione era di grande rilievo l'insediamento di un ecclesiastico fedele al re nell'importante sede patriarcale.

In quel momento non era stata ufficializzata la rottura fra il papa ed il re, si decise di raggiungere un compromesso nel sinodo romano dell’ 11 febbraio 1079. In questa occasione, Enrico giurò pubblicamente di non avere mai avuto notizia della prescrizione papale che vietava ai prelati di ricevere da laici l’investitura delle loro chiese e di rimanere soggetto alla Sede Apostolica secondo le usanze; e dopo ciò ricevette dal papa l’anello, il pastorale e le altre insegne del patriarcato.

A conclusione del sinodo il papa inviò a Enrico IV due legati, il cardinale vescovo Pietro di Albano e il vescovo Udalrico di Padova; dette loro, come compagno e assistente, il patriarca Enrico.

Enrico, subito dopo aver ricevuto a Roma l'incarico, avvertì il re della legazione, per mezzo di messaggeri, e rallentò poi intenzionalmente, con una sosta intermedia ad Aquileia, il viaggio degli inviati, per dar tempo al monarca di prepararsi all'incontro.

Enrico IV ricevette i legati a Ratisbona, il giorno della Pentecoste del 1079 (12 maggio). Le trattative non ebbero però andamento soddisfacente: venne allora messo in programma un nuovo incontro a Fritzlar, e li, un altro a Würzburg.

Il 25 giugno 1080 il patriarca Enrico partecipò insieme coi suoi suffraganei: Reginaldo di Belluno, Bruno di Verona, Milone di Padova, Rolando di Treviso al concilio di Bressanone per deporre Gregorio VII per avere di nuovo scomunicato Enrico IV ed eleggere a nuovo pontefice Guido, arcivescovo di Ravenna, col nome di Clemente III.

Enrico rimase in Germania e lo si ritrova dapprima presso la corte del re di Baviera e nel gennaio dell'anno successivo partecipò alla battaglia di Flarchheim (27 gennaio), appoggiando Enrico contro l'usurpatore Rodolfo di Rheinfelden. La battaglia non diede a nessuna delle parti una vittoria decisiva, e Enrico, minacciando l'imposizione di un antipapa, offrì obbedienza al papa a condizione di ottenere una scomunica per Rodolfo. Il papa accettò le condizioni.

Dopo la morte di re Rodolfo, Enrico IV scese in Italia nella primavera del 1081, ricevette a Milano la corona italica e giunse sotto Roma il 21-22 maggio.

Non avendo potuto entrare in città, Enrico IV si ritirò a Lucca. Il il 20 luglio, il patriarca Enrico, che evidentemente lo aveva accompagnato nella spedizione, ottenne da lui due diplomi coi quali gli venivano concessi i due vescovadi istriani di Parenzo e di Trieste con facoltà di eleggere i vescovi e dare loro l’investitura.

Il patriarca scomunicato da Gregorio VII.

 Il patriarca fu allora scomunicato da Gregorio VII.

Il 22 agosto Enrico IV concesse al patriarca Enrico un nuovo diploma nel quale intendeva dimostrare che la precedente unione di Trieste con Aquileia non era stata fatta per cupidigia, ma perchè Trieste « era ridotta quasi al niente dalla violenza dei ladroni e dalla povertà o negligenza dei vescovi i quali erano meno potenti dei ladroni», e si era veduto necessario che quella sede fosse protetta da Aquileia come da una madre, e perciò riconfermava l’unione fatta l’anno prima. Di Parenzo non si fa parola : segno che soltanto a proposito di Trieste erano state fatte particolari critiche e lamentele.

Enrico morì il 28 marzo 1084, « in anima ed in corpo, ripetutamente spergiuro al papa e scomunicato», come scriveva un cronista tedesco di parte gregoriana. Certamente negli ultimi anni del suo breve governo potè assai poco essere presente nel Friuli.

Enrico, nella scomoda posizione di alto prelato fedele a un imperatore in guerra contro il papa, è stato spesso accusato di aver opportunisticamente presto le parti ora del papa, ora dell'imperatore.

Pur rimanendo l'imperatore critico nei confronti del patriarca, l’ annalista Berthold descrive il religioso come unus ex intimis regis Henrici : questo suggerisce l'idea che il suo giuramento di fedeltà per Gregorio fosse giustificato soprattutto dal desiderio di ottenere il riconoscimento della nomina da parte del papa stesso.

Il Vescovato di Trieste ai Patriarchi d’Aquileia

1082,  l’imperatore Enrico manifesta i motivi per cui aggiudicò il Vescovato di Trieste ai Patriarchi d’Aquileia.

Nel 1081 Enrico IV era in conflitto con Papa Gregorio VII e si era mosso armato contro Roma che non riuscì a entrare. Ripropose l’attacco nel 1083.

Enrico voleva disporre delle chiese e dei benefici. Per questo motivo si circondò di sei vescovi che appoggiavano l’imperatore, tra questi c’era il patriarca di Aquileia.

E’ noto che il vescovo di Trieste era Eriberto dal 1072 al 1082, successivamente non si hanno notizie di vescovi a Trieste fino al 1106.

Non è chiaro quali fossero le intenzioni dell’imperatore in quanto le chiese istriane e Trieste sottostavano al Patriarcato di Grado. La transazione al Patriarcato di Aquileia ci fu nel 1180. In ogni caso la disputa inizio nel 859 con l’imperatore Lodovico.

L’interpretazione di Kandler era che l’imperatore non voleva ampliare la diocesi di Aquileia con quella Tergestina ma la sottopose a Jus Metropolitico

Il termine "jus metropolitico" probabilmente si riferiva ad una autorità di controllo e difesa

Kandler, nella sua raccolta “Codice diplomatico istriano”, non segnala la presenza di un diploma nel 1080 che cede i vescovadi istriani di Parenzo e di Trieste a Aquileia

Tamaro chiarisce ulteriormente la situazione di Trieste.  Nel 1077, la Marca d ’Istria rimase senza principe (probabilmente il margravio era Markwart IV di Eppenstein che morì nel 1076), Enrico IV la concesse al patriarca Sigeardo d ’Aquileia. Morto questi nello stesso anno, Enrico IV concesse la Marca a Enrico I, figlio di  Markwart IV di Eppenstein .

In questi passaggi di potere, per Trieste rimase in vigore i diplomi che facevano il vescovo vassallo direttamente sotto la giurisdizione dell’impero.

Successivamente  l ’imperatore, non potendo più togliere agli Eppenstein il marchesato istriano, conferì al Patriarca Enrico i diritti che aveva come Re d’Italia (rex si dice egli stesso nel diploma) sui vesco vati di Trieste e di Parenzo, ossia sotto il Principato ecclesiastico di Aquileia

Il vescovo triestino, quindi, da vassallo imperiale divenne vassallo del Patriarca , da cui già dipendeva nello spirituale. Con il diploma datato a Lucca, 20 luglio 1081, l ’imperatore ordina:

“sia del Patriarca quicquid ad nostri iuris opus pertinet; vescovo e città rendano a lui i servizi che dovevano a Noi e da lui siano investiti i vescovi che succederanno al vivente. Pena a chi tentasse infrangere questo decreto: incorrere Maiestatis indignationem e pagare mille libbre d ’oro.”

 

La protesta di Trieste

Il diploma fu visto come una minaccia a tal punto che si levarono molte proteste in quanto significava abbassare di rango il vescovato triestino.

La novità non piaceva ai triestini in quanto significava sovrapporre a quella del vescovo una autorità feudale e veniva meno l’autonomia di Trieste: non c’era più quel rapporto diretto tra imperatore e Trieste: la città si sentiva lesa nella sua dignità.

Forse ci fu opposizione anche da Roma. Le proteste, probabilmente, devono avere avuto eco in Italia, poiché Enrico IV , volendo rispondere a quelle che chiamava calunnie, rilasciò al Patriarca un secondo diploma (23 luglio 1082) e con esso gli riconfermò la concessione già fatta e la giustificò, dando al diploma stesso l ’aspetto di un manifesto politico.

L’imperatore dichiarò che non c ’era stato desiderio di appagare un ’avidità, ma solo rispetto della libertà, non avaritie, sed rcspectus libertatis, vedendo che la Chiesa triestina era ormai in pericolo di morte. Secondo l’imperatore la città era ridotta in povertà a causa della negligenza dei vescovi. Per questo motivo decise di dare il vescovado triestino al principato di Aquileia perché le assicurasse la sua libertà e la difendesse contro i suoi nemici, “prendendola nel suo grembo non ut ancillam, sed ut filiam, non come serva, ma come figlia.”

Aveva quindi trasmesso al Patriarca l ’esercizio della potestà reale sopra la Chiesa triestina, affinché, a essa sempre vicino, la potesse proteggere tenendo su essa il dominio diretto invece del Re (nostra vice imperando). Inoltre, sottolineava  di aver preso questa decisione non di suo impulso, ma dopo aver consultato il principe suo figlio, l ’arcivescovo di Milano, i vescovi di Piacenza, di Torino, di Belluno, di Padova e di Vicenza, nonché alcuni marchesi a lui fedeli.

La correzione con il secondo diploma non riguardava la città stessa e non modficava la costituzione della città. Anzi le affermazioni del secondo privilegio escludevano una servilità della chiesa triestina verso il Patriarcato .

Ma i Triestini guardavano con preoccupazione lo sviluppo della potenza patriarcale, che, alla fine del XI secolo, in seguito a altre concessioni avute, li avvolgeva da tutti i lati, tenendo il potere su tutto il Friuli, sulla carniola, vasti possessi feudali in Istria e il principato su tutti i vescovati istriani.

Intorno a Trieste si stava formando un nuovo stato. Oltre i confini si stava delineando un territorio che parlava sempre più le lingue germaniche. Oltre ai Patriarchi tedeschi, tutta l’elite era tedesca. Anche i servi della gleba erano tedeschi oppure slavi. Mentre il mare era dominato da Venezia.

Bisogna attendere il XII secolo per vedere Trieste trovare una propria autonomia con progressivo distacco dalle autorità imperiali, la crescente dipendenza da Venezia e la conquista di più ampie libertà civili, la formazione di un Comune

 

 

Pio Paschini, Storia del Friuli, vol. 2, 1935

Treccani, ENRICO di Biburg, Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 42 (1993)

Mainati Giuseppe Della Croce Ireneo, Memorie Storiche Sacro - Profane della città di Trieste - vol 1, 1817

Pietro Kandler, Codice diplomatico istriano, vol 1, 1862-1865

Attilio Tamaro, Storia di Trieste, vol. 1, 1924

 



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