Significato impronta ecologica, carbon footprint e la water footprint

 

 

 

Viviamo in un’epoca di rapidi cambiamenti planetari senza precedenti. È la prima volta nella storia della Terra che una singola specie, l’Homo sapiens, esercita un impatto così forte sul pianeta. Il nostro sovraconsumo, che ha causato una domanda crescente di energia, suolo e acqua, ci ha condotto in una nuova epoca geologica, l’Antropocene. La natura e la sua biodiversità forniscono al genere umano una ricchezza di servizi che costituiscono la base delle moderne società, ma la natura e la biodiversità stanno progressivamente scomparendo ad una velocità allarmante. A dispetto di tutti gli sforzi che sono stati realizzati per ridurre e bloccare la perdita di biodiversità attraverso accordi globali, come la Convenzione sulla Diversità Biologica, stiamo fallendo nell’invertire la tendenza di questo trend.

Tutte le ricerche scientifiche dimostrano l’incalcolabile importanza dei sistemi naturali per la nostra salute, il nostro benessere, la nostra alimentazione, la nostra sicurezza. Tutte le nostre attività economiche in ultima analisi dipendono dai servizi che ci offre la natura, costituendo un incredibile componente della ricchezza delle nazioni.

 

 

 

 

 

 

Impronta ecologica

L'impronta ecologica  è un  indicatore  complesso utilizzato per valutare il consumo umano di  risorse naturali  rispetto alla capacità della  Terra  di rigenerarle.

Il concetto di impronta ecologica è stato introdotto da  Mathis Wackernagel  e  William Reesnel con il libro  “Our Ecological Footprint: Reducing Human Impact on the Earth”, pubblicato nel 1996. A partire dal  1999  il  WWF  aggiorna periodicamente il calcolo dell'impronta ecologica nel suo  Living Planet Report.

Nel  2003  Mathis Wackernagel  e altri hanno fondato il Global Footprint Network, che si propone di migliorare la misura dell'impronta ecologica e di conferirle un'importanza analoga a quella del  prodotto interno lordo.

L'impronta ecologica misura l'area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria a rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e ad assorbire i  rifiuti  prodotti. Utilizzando l'impronta ecologica è possibile stimare quanti "pianeta Terra" servirebbero per sostenere l'umanità, qualora tutti vivessero secondo un determinato stile di vita.

Confrontando l'impronta di un individuo (o regione, o stato) con la quantità di terra disponibile pro-capite (cioè il rapporto tra superficie totale e popolazione mondiale) si può capire se il livello di consumi del campione è sostenibile o meno.

Per calcolare l'impronta ecologica si mette in relazione la quantità di ogni bene consumato (es. grano, riso, mais, cereali, carni, frutta, verdura, radici e tuberi, legumi, idrocarburi, elettricità, acqua.) con una costante di rendimento espressa in kg/ha (chilogrammi per ettaro). Il risultato è una  superficie  espressa con l'unità di misura "ettaro globale".

Si può esprimere l'impronta ecologica anche da un punto di vista energetico, considerando l'emissione di  diossido di carbonio  espressa quantitativamente in tonnellate, e di conseguenza la quantità di terra forestata necessaria per assorbire le suddette tonnellate di CO2

 

Lo svantaggio è che, in conseguenza di questi risultati intuitivamente più comprensibili, si possono però generare incongruenze comunicative.

Se ad esempio si dice che al passo dei consumi attuali sarebbe necessario un 20% di pianeta Terra in più, molte persone penseranno ad un errore o ad una esagerazione, in quanto appare subito contradditorio e insensato il sostenere di star consumando più di quel che si ha già. A questa obiezione si dovrebbe rispondere che le porzioni di territorio in eccesso che si stanno consumando, corrispondono a territori "avanzati" o "risparmiati" dal passato. Ad esempio l'uso di idrocarburi corrisponde al consumo di risorse territoriali accumulate dal pianeta al tempo della scomparsa dei dinosauri. In altri termini: lo spazio della terra non andrebbe letto come una superficie unica, ma stratificata come una cipolla e lo spazio in più corrisponde ad uno spazio/tempo che le generazioni di oggi starebbero intaccando attingendo dalle risorse ereditate dalle generazioni precedenti.

 

 

 

Carbon footprint

L'impronta ecologica ha parecchi limiti. In primo luogo riduce tutti i valori ad una sola unità di misura, la superficie terrestre. Ciò distorce la rappresentazione di problemi complessi e multidimensionali.

In alcuni casi si parla di “impronta carbonica” (carbon footprint), un indicatore che misura l'impatto creato dalle attività umane sull'ambiente in base alla quantità di gas ad effetto serra immessa nell'aria, misurata in unità di diossido di carbonio equivalente.

 

Il termine "carbon footprint" è diventato estremamente popolare negli ultimi anni ed è ora ampiamente diffuso tra i media, almeno nel Regno Unito. Con il cambiamento climatico in cima all'agenda politica e aziendale, i calcoli sull'impronta di carbonio sono molto richiesti.

Ma cos'è esattamente il " carbon footprint "?

La carbon footprint è un indicatore ambientale che misura l’impatto delle attività umane sul clima globale; esprime quantitativamente gli effetti prodotti sul clima da parte dei cosiddetti gas serra generati da una persona, da un’organizzazione, da un evento o da un prodotto, sia esso un bene o un servizio. Nel calcolo dalla carbon footprint si tiene conto di tutti i gas clima-alteranti del Protocollo di Kyoto: anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido nitroso (N2O), il gruppo degli idrofluorocarburi (HFCs), dei perfluorocarburi (PFCs) e l’esafluoruro di zolfo (SF6).

La carbon footprint dei prodotti comprende l’assorbimento e l’emissione di gas clima-alteranti nell’arco dell’intera vita di un prodotto o servizio, dall’estrazione delle materie prime e la loro lavorazione, al loro uso e al loro finale utilizzo, riciclaggio o smaltimento. In ciascuna delle suddette fasi, le emissioni di gas ad effetto serra possono derivare da sorgenti come: l’utilizzo di energia e di combustibili per trasporto, i rifiuti e le perdite di refrigeranti da sistemi di refrigerazione, mentre gli assorbimenti possono derivare dalla fissazione della CO2  atmosferica da parte delle piante o del suolo.

 

 

 

Water footprint

Al concetto di carbon footprint si va affiancando sempre di più quello di water footprint, ossia quell'indicatore del consumo di acqua dolce che include sia l'uso diretto che indiretto di acqua da parte di un consumatore o di un produttore.

 

L'impronta idrica di un singolo, una comunità o di un'azienda è definita come il volume totale di acqua dolce utilizzata per produrre beni e servizi, misurata in termini di volumi d'acqua consumati (evaporati o incorporati in un prodotto) e inquinati per unità di tempo.

Nella definizione dell’impronta idrica è data inoltre rilevanza alla localizzazione geografica dei punti di captazione della risorsa.

Il water footprint assessment si sviluppa in tre fasi:

 - quantificazione e localizzazione dell’impronta idrica di un prodotto o di un processo nel periodo di riferimento;

- valutazione della sostenibilità ambientale, sociale ed economica dell’impronta idrica;

- individuazione delle strategie di riduzione della stessa.


Il computo globale della water footprint è dato dalla somma  di tre componenti:


- Acqua blu: si riferisce al prelievo di acque superficiali e sotterranee destinate ad un utilizzo per scopi agricoli, domestici e industriali. È la quantità di acqua dolce che non torna a valle del processo produttivo nel medesimo punto in cui è stata prelevata o vi torna, ma in tempi diversi;


- Acqua verde: è il volume di acqua piovana che non contribuisce al ruscellamento superficiale e si riferisce principalmente all’acqua evapo-traspirata per un utilizzo agricolo;


- Acqua grigia: rappresenta il volume di acqua inquinata, quantificata come il volume di acqua necessario per diluire gli inquinanti al punto che la qualità delle acque torni sopra gli standard di qualità.


L’utilizzo delle tre componenti di acqua virtuale incide in modo diverso sul ciclo idrogeologico. Ad esempio, il consumo di acqua verde esercita un impatto meno invasivo sugli equilibri ambientali rispetto al consumo di acqua blu.

La water footprint offre quindi una migliore e più ampia prospettiva su come il consumatore o produttore influisce sull’utilizzo di acqua dolce. Essa è una misura volumetrica del consumo e dell’inquinamento dell’acqua.

Non misura quindi la gravità dell’impatto a livello locale, ma fornisce un’indicazione sulla sostenibilità spazio-temporale dalla risorsa acqua utilizzata per fini antropici.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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