Un film del genere apocalittico che interpreta una delle ipotesi del mondo scientifico sulle ripercussioni del riscaldamento globale sul clima.

 

Nel 2004 il regista Roland Emmerich ha diretto il film The Day after Tomorrow – L’alba del giorno dopo. Un film del genere apocalittico che interpreta una delle ipotesi del mondo scientifico sulle ripercussioni del riscaldamento globale sul clima.





Durante una campagna di ricerche sulla composizione degli strati di ghiaccio antartici, in stretta relazione con l'osservazione dei cambiamenti climatici, il paleoclimatologo Jack Hall, assieme ai suoi colleghi Frank Harris e Jason Evans, assiste al distacco di una porzione immensa di banchisa dall'Antartide. Alla conferenza delle Nazioni Unite sul surriscaldamento globale tenutosi a Nuova Delhi in India, esponendo i suoi dati, Jack Hall illustra le condizioni che ritiene possibili per l'avvento di una glaciazione, anche se non sa quando potrebbe avvenire. Presentando la relazione dei suoi studi, si scontra con il vicepresidente degli Stati Uniti, che non crede a queste previsioni catastrofiche, affermando che l'economia non è abbastanza florida per indirizzare la politica di governo sul cambiamento climatico.

 

Purtroppo non siamo lontani da questo scenario fantascientifico. Durante le astati calde di questi anni anche i ghiacci della Groenlandia si sono sciolti a ritmo sostenuto e gli scienziati  ritengono che, a causa di ciò, la Corrente del Golfo, il grande fiume oceanico che trasporta a nord il calore tropicale, potrebbe interrompersi. Se ciò accadesse, l’emisfero nord piomberebbe esattamente in una morsa di freddo, una conseguenza assurda perché è dovuta proprio al riscaldamento globale.

Durante l'estate 2019 la stessa onda di calore che ha raggiunto l’Europa, ha portato le temperature al circolo polare artico ad alzarsi costantemente oltre la media. Oltre 190 miliardi di tonnellate di ghiaccio groenlandese si sono trasformate in acqua. Ciò che è finito in mare è stato in grado di innalzare il livello  di 0,5 mm. Se si sciogliesse tutto il ghiaccio artico, il livello del mare salirebbe di 7 metri.

In passato, nel 2012, c’era già stato un episodio simile: il 97% della copertura nevosa era scomparsa innescando una serie di temporali e l’uragano Sandy, che colpì 24 stati americani e inondò le strade e la metropolitana di New York provocando danni per 70 miliardi di dollari.

Il problema non è dovuto solo al riscaldamento globale dell’aria. C’è una ulteriore aggravante. In queste condizioni infatti il ghiaccio viene colonizzato dalle alghe. Il bianco abbagliante, che è in grado di riflettere l’energia solare diventa marrone e verde, con il risultato che i ghiacci assorbono più energia.

La conseguenza più preoccupante della diminuzione del ghiaccio artico è che potrebbe avere effetti sulla circolazione oceanica. Uno studio del 2017 pubblicato su Nature  ha rivelato che nei prossimi decenni la quantità di acqua sciolta potrebbe rallentare l’AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation), nota anche come Corrente del Golfo.

L’AMOC è una delle più grandi correnti sottomarine del mondo. Il suo compito è quello di trasportare acqua calda dai tropici verso il nord. Nasce nell’Atlantico meridionale, scorre verso la costa degli Stati Uniti poi, poco sopra capo Hatteras, si separa in flussi diversi, uno dei quali si avvicina all’Europa occidentale. Un altro sale verso la Norvegia e arriva in Groenlandia. Nel percorso l’acqua si raffredda e diventa più densa, salata. Affonda del tutto in prossimità della Groenlandia creando un vuoto che attira altra acqua. La spinta permette di mettere in moto una circolazione a livello globale. E’ chiaro che se nell'Artico si ha una  continua diluizione con acqua tiepida e dolce, il motore potrebbe fermarsi.

Se ciò accadesse, proprio come racconta il film, si avrebbero inverni rigidissimi sia in Europa che negli Usa.

Il film è caratterizzato dall’estremizzazione degli effetti climatici ma la storia trova spunto dalla teoria denominata “Ipotesi Gaia”.

L'ipotesi Gaia è una teoria di tipo olistico formulata per la prima volta dallo scienziato inglese James Lovelock nel 1979, trovando poi numerosi consensi nel mondo scientifico.

Nella sua prima formulazione l'ipotesi Gaia si basa sull'assunto che gli oceani, i mari, l'atmosfera, la crosta terrestre e tutte le altre componenti geofisiche del pianeta terra si mantengano in condizioni idonee alla presenza della vita proprio grazie al comportamento e all'azione degli organismi viventi, vegetali e animali.

Secondo Lovelock, Gaia reagirà anche al surriscaldamento globale, raffreddandosi e provocando una nuova era glaciale.