Dopo cinque anni di divieto, la caccia agli elefanti sarà ora consentita nel paese dell'Africa meridionale che ospita circa un terzo degli elefanti del continente

 

Con una dichiarazione ufficiale rilasciata il 22 maggio dal Ministero dell'ambiente, della conservazione delle risorse naturali e del turismo, il governo del Botswana ha comunicato la sospensione del divieto di caccia agli elefanti, dopo cinque anni i cacciatori potranno quindi nuovamente tornare ad uccidere.

Il Botswana, che ospita più di 130.000 elefanti - circa un terzo degli esemplari rimasti nella savana africana - era stato toccato di recente  dalla recrudescenza del fenomeno del bracconaggio  per l'avorio.

 

Secondo il  “Great Elephant Census”,  un censimento aereo completato nel 2016  condotto in 18 paesi da Elephants Without Borders  e finanziato dalla società statunitense Vulcan, il numero di elefanti in tutto il continente è sceso del 30% tra il 2007 e il 2014.

Attualmente il declino annuale - causato principalmente dalla caccia di frodo - è stimato all’8%. Qualcosa come 27mila elefanti massacrati ogni anno. L’elefante africano delle foreste, che vive nell’Africa centrale e occidentale, non è stato coinvolto nel censimento perché è quasi impossibile individuarlo da un aereo. Uno studio condotto a terra nel 2012, tuttavia, già indicava che anche questa specie è minacciata dal bracconaggio e dalla perdita dell’habitat. 

Il Great Elephant Census è il censimento degli elefanti più avanzato e completo che sia mai stato fatto, grazie a una squadra di cercatori che, a bordo di aerei che hanno volato a bassa quota, hanno monitorato entrambi i lati dei velivoli per contare gli elefanti sotto di loro. Percorrendo avanti e indietro gli ampi territori dell’Africa subsahariana, hanno coperto una distanza di volo di oltre 450000 chilometri, ovvero l’equivalente di un viaggio verso la Luna più un quarto del tragitto per tornare indietro.

Se la situazione complessiva degli elefanti è decisamente cupa, cambia notevolmente di paese in paese e in base all’ecosistema. I paesi segnati dal declino più grave sono Tanzania e Mozambico, in cui nel giro di cinque anni sono stati 73mila gli elefanti vittime del bracconaggio. Il Camerun settentrionale si è rivelato un’amara sorpresa per gli scienziati, che non sono riusciti a trovarvi più di 148 elefanti - insieme a un gran numero di carcasse - evidenziando una minuscola popolazione regionale a immediato rischio di estinzione.

Sul fronte opposto ci sono Sudafrica, Uganda, alcune aree di Malawi e Kenya oltre al complesso W-Arli-Pendjari, l’unica area dell’Africa occidentale in cui sopravvive un numero significativo di elefanti della savana, con branchi stabili o in lieve crescita. Il Botswana rimane la roccaforte del continente, con 130mila animali concentrati lungo i sistemi fluviali di Chobe e Savuti, a Nord e nelle ampie oasi acquitrinose del Delta dell’Okavango.

Il secondo posto va allo Zimbabwe, con 83mila elefanti, la maggior parte lungo il fiume Zambezi e nello Hwange National Park. Dal 2005 a oggi la popolazione di pachidermi locali è diminuita del 10%. Segue la Zambia con 20839 elefanti, che nel corso degli ultimi dieci anni ha visto un declino dell’11%. Ma una popolazione regionale a Sud-ovest, in particolare, è stata drammaticamente segnata dal bracconaggio: nel Sioma Ngwezi National Park i cercatori sono riusciti a contare solo 48 animali, un numero insignificante rispetto ai 900 del 2004. Anche questa popolazione locale, visto il tenore del bracconaggio, sta andando incontro all’imminente scomparsa.

L’Angola, un tempo considerata un rifugio per gli elefanti, dopo decenni di guerra civile, oggi ha uno dei tassi di bracconaggio più alti dell’intero continente. Dal 2005 a oggi il numero di elefanti è crollato del 22%. La Namibia, dal canto suo, è l’unico paese con una popolazione di elefanti significativa che non ha voluto partecipare al censimento. Un ampio studio condotto nel 2015 aveva stimato la presenza di quasi 23000 elefanti. 

I ricercatori, tuttavia, non hanno contato solamente gli elefanti vivi. Hanno censito anche quelli morti, perché le carcasse permettono di mostrare il diverso contributo di bracconaggio e morti naturali al declino della specie. Calcolando il rapporto tra il numero di carcasse e quello degli elefanti vivi, i ricercatori sono riusciti a farsi un’idea precisa delle condizioni di salute delle popolazioni. Un rapporto sopra l’8% significa in genere che una popolazione è in declino: a livello continentale, il rapporto  registrato si è rivelato di quasi il 12%. 

 

 

 

Nel giugno 2018, il governo del Botswana ha costituito un comitato per valutare l'opportunità di revocare il divieto di caccia ai trofei, che era stato adottato nel 2014 dall’allora presidente Ian Khama con l'obiettivo di proteggere e conservare meglio le specie come gli elefanti.

Tuttavia, il comitato - che comprendeva autorità locali, ONG, ricercatori, rappresentanti dell'industria e altri - ha scoperto che "la sospensione della caccia produce un effetto negativo sui mezzi di sostentamento, in particolare per le comunità locali che in precedenza beneficiavano degli introiti della caccia". Inoltre, secondo lo stesso comitato, il Dipartimento della fauna selvatica e dei parchi nazionali ha impiegato troppo tempo per intervenire e controllare gli elefanti particolarmente turbolenti, che possono distruggere un'intera stagione di raccolti in una sola notte.

Riguardo alla questione dell’abbattimento di elefanti, secondo Chase, è possibile ipotizzare una quota di abbattimenti sostenibile.

Inoltre Chase solidarizza con quelle comunità che devono fare i conti con i danni provocati dagli elefanti e hanno sostenuto il ripristino della caccia, sottolineando il fatto che l'areale degli elefanti si è notevolmente ampliato in Botswana perché la siccità li ha costretti a percorrere distanze maggiori in cerca di acqua, aumentando così la frequenza dei contatti con l’uomo.

Khama invece  ha criticato  la mossa definendola come puramente politica e mirata a guadagnare consenso nelle comunità rurali in vista delle elezioni di ottobre.