Dopo la morte di Alboino iniziò il periodo dei Ducati longobardi.

 

 

Dopo la morte di Alboino, ucciso nel 572 nella congiura ordita dalla moglie  Rosmunda, i trentacinque  duchi  longobardi riuniti a  Pavia, appena conquistata ed elevata a capitale del  regno longobardo  elessero Clefi come suo successore, secondo re longobardo d'Italia.

Con la morte di Alboino, il complesso sistema di patti e di fedeltà personali o di obsequium, che legava Longobardi Gepidi Turingi ed Alamanni ad Alboino, era stato sconvolto.

Il seguito unitario del re si era spaccato nettamente in due grosse fazioni, che appaiono schierate entro due ben distinti ambiti territoriali.

La fazione filo-bizantina, cioè la moltitudine di Longobardi e di Gepidi passati con Elmichi e Rosmunda ai favori di Ravenna, era identificabile grosso modo con i duchi della Venetia, mentre i loro oppositori oltranzisti controllavano parzialmente la Liguria e l’Aemilia (Neustria) e alcuni luoghi appenninici della Tuscia.

Andato a vuoto il tentativo di reggenza di Elmichi-Rosmunda, anche i duchi della Neustria, quelli non coinvolti nella congiura,  tentarono di organizzarsi in un assetto di regno.

Congregatisi a Pavia l’anno successivo alla morte di Alboino, nominarono re Clefi.

Clefi estese le conquiste longobarde a nuovi territori continuando l'avanzata di Alboino con la conquista della  Tuscia  e cingendo d'assedio  Ravenna. Perseguitò i nobili romani e bizantini nel tentativo di continuare coerentemente la politica di Alboino che mirava a spezzare gli istituti giuridico-amministrativi già consolidati durante il precedente dominio ostrogoto e bizantino, eliminando buona parte dell'aristocrazia latina, occupandone le terre e acquisendone i patrimoni.

Il regno di Clefi durò poco, appena 18 mesi: nel  574 fu sgozzato con una spada da un membro del suo seguito (o da un suo schiavo), assieme alla moglie Masane.

L'aggressione al re fu guidata da alcuni  duchi  o forse dall'esarca di Ravenna. In seguito alla sua morte, i Longobardi rinunciarono all'elezione di un successore e si costituirono in 36  ducati  separati, sostanzialmente indipendenti tra loro (Periodo dei Duchi).

Paolo Diacono cita i nomi di cinque duchi:

Zabano,  duca di Pavia

Wallari,  duca di Bergamo

Alachis I,  duca di Brescia

Ewin,  duca di Trento

Gisulfo,  duca del Friuli

 

La perdita di gran parte del tesoro regio, che “per i re germanici era di straordinaria importanza come base del potere”, condizionò il comportamento dei Longobardi. I duchi trovarono sostentamento saccheggiando le terre occupate e aggredendo nuovi territori italici.

I duchi longobardi, dopo aver ucciso o scacciato la maggior parte dei latifondisti Romanici, impossessandosi dei terreni, permisero ai superstiti di conservare le terre; in base all'hospitalitas, i latifondisti superstiti dovevano però versare un terzo dei raccolti alle fare longobarde (vedi nota); i Longobardi si erano così impossessati delle posizioni chiave della società, e ben pochi romanici poterono mantenere una posizione agiata.

Si pensa che nel ducato forogiuliano, in quello cenedese e in tutti gli altri territori fino a Verona - cioè nella fascia pedemontana e prealpina della Venetia interessata dal primo insediamento dei Longobardi la popolazione  sia rimasta estranea ai guai che toccarono la Liguria e l’Aemilia.

Sebbene non si conosca nei particolari la presa di posizione dei duchi della Venetia nella congiura contro Alboino, e nel successivo tentativo di regno di Elmichi-Rosmunda, c’è la forte convinzione che essi preferirono rimanere leali al patto con l’Impero, e riceverne regolari donativi. Non avrebbero quindi aderito al raduno di duchi e guerrieri, al gairethinx che sfociò nell’elezione di Clefi, e si mantennero estranei al primo regno di Pavia.

 Nel diritto longobardo il gairethinx corrisponde alla consegna della legge al popolo da parte del re, legge preventivamente approvata dai soldati battendo le lance sugli scudi. 

La mancata elezione a re del potente duca forogiuliano Gisulfo (peraltro il più titolato al trono in quanto nipote di Alboino) starebbe ad indicare che anche i Forogiuliani s’erano estraniati dagli oltranzisti della Liguria e dell’Aemilia.

Autari fu eletto re dagli stessi duchi nel  584, quando si resero conto che l'assenza di un potere centrale minacciava l'esistenza stessa del popolo longobardo nell'Italia  recentemente conquistata.

Autari ascese al trono in un contesto di forte frammentazione del dominio longobardo, sottoposto alla duplice pressione dei  Franchi  e dei  Bizantini, eppure ottenne un deciso sostegno dai duchi, che gli assegnarono un tesoro pari alla metà dei propri beni.

Autari promosse l'evoluzione del proprio popolo da insieme scoordinato di unità militari a stirpe unitaria, in grado di generare un vero e proprio Stato

In questo sforzo, si attribuì il titolo di  Flavio, riferendosi a una tradizione che risaliva a  Odoacre e a  Teodorico il Grande. Si trattò di una precisa scelta politica, volta ad affermare la legittimità del potere longobardo non solo sulla propria stirpe, ma sulla totalità della popolazione italica, in larga maggioranza di stirpe latina, richiamandosi esplicitamente (in chiave anti-bizantina) all'eredità dell'Impero Romano d'Occidente.

Autari cercò cautamente di avvicinarsi alla fede cattolica professata dalla popolazione romano-italica. 

Per stabilizzare il dominio longobardo, sostituì all'hospitalitas  vigente durante il Periodo dei duchi (la cessione, arbitrariamente manipolabile, ai Longobardi di un terzo dei prodotti del suolo) un sistema più definito, con una divisione dei latini in scaglioni di ricchezza, dai quali dipendevano le imposte da versare ai dominatori che assicuravano la sicurezza militare. Il sistema colpì duramente l'aristocrazia  latifondista  latina, ma rappresentò un fattore di stabilità per la massa della popolazione e per l'equilibrio complessivo del regno.

Nel frattempo Gisulfo, duca del Friuli, regnò fino al 581.

 

 

Nota.

La struttura sociale era basata sulle  farae, clan aristocratici militari, a capo delle quali c'era un duca che comandava gli arimanni, uomini liberi appartenenti al ceto aristocratico, legati a lui da vincoli di parentela. Alla base della scala sociale stavano i servi  che vivevano in condizioni di schiavitù, mentre ad un livello intermedio gli aldii, uomini semiliberi che svolgevano il servizio militare come soldati di fanteria, arcieri e scudieri. 

 

 Francesco di Manzano. Annali del Friuli. Volume 1. 1858

Giorgio Arnosti, L’invasio Longobarda in Italia, CENITA FELICITER, L’epopea goto-romaico-longobarda nella Venetia tra VI e VIII sec. d.C.

Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, Edizioni Studio Tesi, 1990

 

 

 

 

 

 

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